"Un caffé per me e per la mia coscienza"

mercoledì 24 agosto 2011

La manovra economica di luglio e di ferragosto hanno "assestato un colpo da serial killer"

Più o meno si apre con questa metafora l'editoriale di quest'oggi di Famiglia Cristiana (pubblicato in anteprima ieri, 23 agosto).
Le manovre del governo invece di essere strutturali e di cercare una via risolutiva al disavanzo pubblico e alla crisi economica che ci sta consumando, sono rivolte sempre e solamente contro i "soliti noti" delle tasse: le famiglie, i dipendenti pubblici e privati e i piccoli lavoratori autonomi (perché anche loro, in tanti pagano le tasse).
Ed ecco che anche la Chiesa si ribella e accusa i politici cattolici di "stare alla finestra, insignificanti e privi di idee". Ma sarà così vero? Perché a me sembra che tra i sostenitori della Chiesa (cattolica) e del famoso Family day ci fosse quasi tutta la classe dirigente attualmente al potere e non certo altri. Anzi, se non ricordo male sono proprio i nostri governanti di oggi a inchinarsi a prelati e cardinali veicolando le scelte dello Stato (pubblico e laico, dunque di tutti) a logiche cristiano-cattoliche che poco rispondono agli ideali costituzionali di laicità e libertà di religione e di pensiero.
Famiglia Cristiana si lamenta e ne siamo tutti contenti, purché però ognuno guardi la trave nel proprio occhio, prima di analizzare il sassolino dell'altro.
Le manovre e le intenzioni economico-finanziarie future di questo governo sono la dimostrazione di quanto poco sia di interesse lo stato dello Stato e quanto invece contino di più le logiche personalistiche e patrimonialistiche di pochi. L'opposizione si sta muovendo, forse non troppo omogeneamente, ma sta facendo sentire la sua voce.
Bisognerebbe cambiare i vertici? è molto probabile.
La borsa italiana continua a crollare, sotto attacco oggi sono le banche, gli enti creditizi, i custodi del debito pubblico italiano. Se non è più possibile prendersela con le obbligazioni di Stato (sotto l'ala protettiva della Bce), allora all'arrembaggio dei titoli delle banche. E via il crollo! Bisogna preoccuparsi? Io direi di sì. Ma la soluzione ci sarebbe, c'è.. se solo avessimo una classe dirigente capace di prendere decisioni in linea con quanto richiesto dall'Europa e con quanto realmente necessario per il Paese.
Gli annunci passati (a borse chiuse) del capo del governo hanno sortito effetti devastanti, non tanto per la malasorte del singolo, quanto per l'inconsistenza delle parole e dei fatti proposti.
E' necessario proporre riforme concrete, reali, strutturali (la parola sarà di moda, ma resta pur sempre incomprensibile ai più) e attuarle, non lasciarle nel dimenticatoio (tanto gli italiani, si sa, hanno memoria breve).
Così non possiamo più andare avanti, siamo giunti al capolinea. Ci stiamo arrabbattando in una danza del cigno poco credibile e definitiva, qualcuno ne prenderà atto?

Leggi "Quei tesoretti intoccabili", editoriale del 23 agosto 2011 di Famiglia Cristiana.

martedì 23 agosto 2011

Le donne, l'ambiente e la green economy

E' stato recentemente pubblicato una ricerca promossa dal Comitato per la Promozione dell'Imprenditoria femminile e la Camera di Commercio di Milano dedicata a Donne e Ambiente. Le donne sono le protagoniste dei nuovi atteggiamenti di sostenibilità ambientale? La ricerca si dedica ampiamente a descrivere e ripercorrere i diversi usi (e costumi) delle donne intervistate, imprenditrici, pensionate, professioniste, impiegate, ricercatrici, insegnanti, casalinghe e disoccupate.
Nel loro complesso le donne sono più attente all'ambiente e cercano nei loro comportamenti di affrontare il problema dello "spreco" delle risorse con intelligenza, o meglio con parsimonia e forse un poco di moda.
Le correnti del momento, che siano esse politiche, sociali, culturali o solo frivole, stanno spostando da diverso tempo l'attenzione su prodotti e comportamenti "bio".
E allora, si sa, sono le donne che tengono in mano i cordoni della borsa domestica, sono loro che decidono cosa, quanto e in che maniera spendere e utilizzare le risorse economico-finanziarie della famiglia. Per cui oggi non ci sorprende molto scoprire che sono veramente le donne, forse più informate, più impegnate socialmente e politicamente, più "benestanti" a seguire e perseguire modelli comportamentali più attenti al risparmio energetico e allo spreco delle risorse naturali.
Ci sorprende invece leggere, su suggerimento di un'amica, un lavoro pubblicato dall'Isfol nel mese di gennaio 2010 (ci sono arrivata un po' tardi, ma il motto non rincuorava il ritardatario con "meglio tardi che mai"?!) da cui emerge come sia tuttora in atto un boom della green economy e dei corsi di specializzazione universitari, para e post universitari nei settori ambientali. E sono le donne a farla da padrone!
Se è dunque vero che sono circa 80% gli studenti che nei primi sei dal termine degli studi riescono a trovare un'occupazione in ambito ambientale, tra coloro che ricoprono ruoli più qualificati il 61,7% sono donne. Eccolo il dato significativo e che probabilmente non è un caso. Sono le donne a essere più attente ai consumi e dunque al risparmio, anche energetico e ambientale, e sono sempre le donne che dimostrano una maggiore propensione verso la società e gli altri dedicandosi, anche lavorativamente, al mondo della green economy.
Un ragionamento semplicistico? Può essere.


mercoledì 27 luglio 2011

Alemanno e la violenza contro le donne

E' stato distribuito in 10 mila copie nella metro di Roma il "Vademecum per la tua sicurezza. Sicurezza, un lusso che noi donne vogliamo permetterci". Un manuale per donne sole che abitano e girano nella Roma Gothan City di Alemanno. Stupri, violenze e minacce, una città oscura, pericolosa e abbandonata a se stessa, dove alle donne viene consigliato di "non indossare abiti appariscenti" se si viaggia in metro la notte. Una città, Roma, che viene descritta come un luogo non sicuro, anche se governato dall'uomo che in campagna elettorale si è promosso come l'uomo della sicurezza.
Ed è stato proprio l'uomo della sicurezza a vincere le elezioni, cavalcando il terrore del tentato stupro (sventato da un suo sodale) in una stazioncina alle porte della città poche settimane prima delle elezioni.
Oggi però le cose non sembrano essere andate come avrebbe voluto Alemanno, la "sua" città sembra essere abbandonata a se stessa e agli istinti più biechi della natura umana. La sporcizia, l'arroganza, l'ignoranza, la fobia dell'altro e dell'estraneo, la violenza contro la donna e contro gli immigrati stanno dilagando, lasciando per le strade solo cartacce e stracci.
Roma è una città che ha perso il suo fascino, i suoi tramonti sembrano sbiaditi e non quella meraviglia che solo a Roma si poteva ammirare.
Roma è in pieno declino, soprattutto Roma sta perdendo se stessa e i suoi cittadini se deve chiedere alle sue donne di nascondersi, di munirsi di un braccialetto anti-violenza, di girare bardate e "velate" per non dare adito all'uomo-maschio di violentarle, di tenere sotto mano il cellulare impostato con i numeri della polizia, di non girare di notte in luoghi bui e di accertarsi che ci sia sempre un posto "sicuro" nelle vicinanze cui chiedere aiuto, una campanello di uno sconosciuto cui bussare.
Questa è paranoia, è follia ma soprattutto è la dimostrazione di una mancanza di cultura. Sono queste le operazioni sgradevoli di un marketing disincentivante, fobico che invoca al male assoluto che non sempre esiste.
Stasera ci sarà una grande manifestazione in piazza Trilussa per dire no al "metodo Alemanno", per dire no alla violenza psicologica e paranoica, per dire no a questo vortice perverso in cui si vorrebbe rinchiudere tutte le donne.
http://www.unita.it/polopoly_fs/1.312822.1310465832%21/menu/standard/file/Vademecum1.pdf

martedì 19 luglio 2011

Il "rottamatore" super-giovane Renzi e gli impiegati pubblici di fantozziana memoria

E' di questi giorni la notizia sui quotidiani fiorentini e nazionali dell'ultima boutade del sindaco rottamatore Matteo Renzi. Il sindaco super-giovane, oramai non più giovane, da sempre criticato per le sue campagne donchisciottiane qualche giorno fa se l'è presa con i dipendenti del suo Comune accusandoli di "indossare il cappotto già un quarto d'ora prima di uscire"!
Ma da qualche settimana l'aria era diventata irrespirabile per i poveri dipendenti comunali: da dieci giorni il sindaco aveva introdotto la draconiana imposizione di timbrare il cartellino a ogni sigaretta.
E se il sindacato, non certo vicino al sindaco, lo accusa di essere un democratico del "decido solo io", questa volta il sindaco tutti torti forse non ce l'ha.
Le motivazioni del suo sfogo sono chiare e certamente condivisibili (ovviamente per chi dipendente pubblico né a tempo indeterminato è): veder sfilare ogni giorno nei cortili del Comune i dipendenti fumatori può essere spiacevole, soprattutto se si guarda alla realtà sociale del Paese intero. Giovani disoccupati, cassa integrazione galoppante, imprese a rischio o già fallite ed ex dipendenti alle prese con gli aiuti statali che non arrivano mai, anzi. E poi c'è il problema della rappresentanza sindacale, della pensione che in molti, in troppi non avranno, anche se continuano a pagare ogni mese l'Inps.
E' indubbio vi sia un malessere sociale molto ampio e probabilmente i dipendenti comunali dovrebbero essere tra i primi a dare il buon esempio. Sono molti quelli che lo fanno, da sempre, ma altri invece talvolta assumono più atteggiamenti fantozziani e non solo nel pubblico. Si è spesso convinti che un contratto a tempo indeterminato rappresenti più che un'assunzione (a vita), un'adozione, un vitalizio che manteniamo qualunque cosa succeda, perché tanto non ci possono mandare via, perché tanto ci sono i sindacati che ci proteggono.
Tutto giusto? Non troppo. Se il lavoro è un diritto è al tempo stesso anche un dovere (personale, aziendale, sociale), in particolar modo in questo periodo di incertezza dove chi ha un lavoro (garantito e assicurato) dovrebbe pensare un po' di più al proprio vicino che invece è a casa o alla ricerca disperata o che ha perso la voglia e la speranza.
E i sindacati? Renzi chiede loro di ridursi le ore di permesso, è così paradossale? Perché? Anzi sembrerebbe giusto, troppo spesso i sindacalisti appaiono come quelli che fanno poco e nulla e che approfittano della loro posizione, politica, per svicolare dalle responsabilità del proprio lavoro, perché tanto loro di certo il posto fisso non lo perdono. E poi, oramai la loro rappresentanza è decisamente scarna e poco rappresentativa della classe lavorativa dell'Italia. Gli iscritti sono prevalentemente pensionati e dipendenti a tempo indeterminato, perché dei determinati, degli atipici, delle partite iva (che non sono ricchi evasori professionisti, ma giovani cui si chiede la partita iva per avere meno garanzie e meno stipendio, ma paradossalmente ben più tasse) interessa poco, molto poco e poco o nulla si può fare per loro. Nono sono garantiti? Non prenderanno mai una pensione? Io intanto continuo a fumare la mia sigaretta in giardino e a fare la coda col cappotto per timbrare il cartellino!

mercoledì 15 giugno 2011

Il boom delle imprenditrici straniere in Italia.

http://ravenna.fattoredonna.it/2011/06/15/quasi-in-centomila-il-boom-delle-imprenditrici-straniere-in-italia/

E' uscito qualche giorno fa uno studio condotto dall'Osservatorio sull'evoluzione dell'imprenditoria femminile di Confcommercio e Censis che ha stimato in quasi 100 mila le imprenditrici straniere in Italia.
In testa ci sono le cinesi, cui seguono le rumene, le svizzere, le marocchine e le tedesche.
Il dato più significativo è la presenza di più di un 13% di ragazze sotto i 29 anni.
Le imprenditrici straniere in Italia sono le principali interpreti del cambiamento in atto ormai da diverso tempo nel nostro Paese e probabilmente saranno loro ad agevolare il processo di consolidamento di una società multietnica e interculturale.
Le imprese femminili straniere hanno dimostrato di riuscire a crescere anche in questi ultimi due anni, gli anni della crisi economica, gli anni che hanno scombussolato il nostro sistema. Le donne sono il motore dell'economia e le donne straniere stanno dimostrando tutto il loro valore, anche in Italia, anche in un Paese che ancora non le riconosce cittadine.

Islam e democrazia

Islam e democrazia sono conciliabili? L’islam è un sistema di valori di origine divina, in cui din wa dawla, ovvero religione e Stato, sono elementi inscindibili tra loro. La democrazia è una forma di Stato secondo la quale è la volontà del popolo a essere decisiva per l’esercizio del potere costituito. Nell’idea di democrazia non soggiace alcun elemento che possa rifarsi al sentimento religioso. La democrazia è per sua natura stessa una forma, quantunque anche filosofica, totalmente laica. Il dubbio, la nostra domanda, sarebbe pertanto così saziata. L’islam non può concepire, proprio per la sua duplice veste, religiosa e statuale, una qualsivoglia struttura di potere che non contempli un’essenza divina. Il complesso rapporto esistente tra l’islam e la democrazia o l’idea di rappresentatività del popolo, della maggioranza dei residenti in un determinato Stato, va ricostruito, ripercorrendo alcune tappe essenziali della storia del mondo arabo-islamico e aiutandoci in tale percorso a ritroso con alcuni dei termini arabi più significativi. Alla morte del profeta Muhammad nel 632 d.C. si aprì la questione della successione al potere. Il Profeta incarnava nella sua stessa persona sia l’autorità temporale, era khalifa ovvero capo politico della comunità, sia quella religiosa, in qualità di Inviato di Dio ricopriva anche il ruolo di imam (colui che guida la preghiera). Muhammad non aveva designato formalmente alcun successore e divenne quasi scontato ritenere degni di tale incarico i compagni che fin dall’inizio e più fedelmente avevano seguito l’epopea del Profeta. Il periodo che seguì la morte di Muhammad venne denominato il periodo dei Califfi Ben Guidati, ovvero di coloro che grazie alla vicinanza con il Profeta potevano meglio interpretare alla sua morte il pensiero e l’eredità comportamentale muhammadica. Nel succedersi dei quattro Califfi Ben Guidati una parte della comunità riteneva dovesse essere legittimo nominare quale capo della umma i discendenti diretti in linea maschile del Profeta. La lotta per il potere si scatenò apertamente al momento della morte violenta del terzo califfo, ‘Uthman, avvenuta nel 656. La guerra che ne derivò non si risolse con la vittoria di una delle due fazioni avverse, ma fu causa della prima grande scissione del mondo arabo-islamico: la nascita della corrente sciita (ovvero i seguaci del nipote e genero del Profeta, ‘Ali, che ritenevano la successione dovesse avvenire all’interno della famiglia di Muhammad) e l’instaurazione della prima dinastia sunnita, gli Omayyadi.  Ciò che più interessa alla risoluzione del nostro quesito è quello che avvenne nel corso della seconda dinastia che succedette a quella omayyade, la dinastia degli Abbasidi. È stato proprio nel corso dell’impero abbaside che prese corpo quel fenomeno oppressivo di natura giuridico-religiosa che diede avvio a uno dei periodi più oscuri intellettualmente del mondo arabo-islamico. La ta’a, la persecuzione messa in atto dai califfi abbasidi nei confronti della corrente filosofica, religiosa e dottrinale della Mu’tazila. Il ragionamento personale, lo strumento prediletto dell’intelletto umano per la comprensione del mondo e della natura divina delle cose veniva trattato come un’eterodossia, veniva perseguito come contrario ai dettami religiosi. Il simbolo di questa oppressione divenne senz’altro la sentenza di morte inflitta nel 922 al mistico al-Hallaj, il quale venne accusato di eresia poiché aveva pronunciato la frase criminosa: “Io sono la Verità”. Attribuendo a se stesso uno dei 99 appellativi divini. La verità però è che la corrente mu’tazilita, considerata quasi un’eresia sunnita perché scuola di pensiero filosofico e intellettuale, caratterizzata dalla sua sete di conoscenza e di verità della natura divina delle cose, subì una persecuzione feroce da parte di quegli stessi governanti che un tempo avevano ritenuto  la conoscenza umana l’unico strumento per la conoscenza divina. L’illuminata dinastia abbaside si trasformò in una dittatura oscurantista, che impose alla religione il percorso obbligato dei desiderata dell’autorità. Tutto quello che si distanziava dai diktat moralisti del potere era contrario al volere di Dio, contrario all’ortodossia sunnita. La riflessione venne messa a bando. La filosofia, spregiativamente denominata con il termine di origine greca falasifa, rappresentava il germe dell’opposizione e dell’autonomia di raziocinio tanto temuta dai governanti abbasidi. I falasafa, i filosofi, così comunemente denominati tutti coloro che utilizzavano il ragionamento come strumento per la conoscenza dell’essenza divina anche in contrapposizione con l’autorità costituita, erano i soggetti cui era indirizzata la follia persecutrice. I filosofi e gli intellettuali liberi vennero condannati come infedeli, come atei. L’utilizzo di un termine straniero per definire il ‘nemico’ dell’ortodossia significava connotare quello stesso soggetto gharib, straniero. La ragione e l’opinione personale divennero imprese “straniere” e pertanto condannate dal regime. Ecco uno dei termini portanti del nostro discorso, gharib. Lo straniero e quindi oscuro, sconosciuto e terrificante, misterioso. Il maghreb, il luogo dell’oscurità, dove il sole tramonta, l’occidente. Gli stessi marocchini proprio per il nome con cui viene indicato il loro Paese (Maghrib) sono da sempre guardati con sospetto e con un velo di scetticismo per la loro ortodossia religiosa, considerata non da tutti i musulmani come totalmente ortodossa, perché ancora legata a tradizioni di origine berbera e contadina, e dunque precedenti l’islamizzazione. Da sempre lo straniero fa paura, incute timore perché rappresenta, incarna qualcosa che non si conosce, che non si comprende. Così, la lingua può aiutare a raffigurare tale sentimento. Nell’ebraico biblico lo straniero veniva identificato con il termine ger, un termine che al suo interno racchiudeva un senso di paura e di non accettazione. Il ger non poteva prendere parte alle attività della comunità, al ger, quasi fosse un nemico, era lecito prestare a interesse. Il ger non avrebbe mai potuto godere dello status di residente. In arabo, lo abbiamo appena visto, il gharib rappresenta non solo lo straniero ma acquisisce una connotazione ancor più geografica indicando precisamente il territorio strano dove tramonta il sole (e dove quindi le cose perdono i loro contorni definiti e illuminati dalla luce del giorno), l’occidente. In greco e in latino lo straniero era il barbaro (barbaros o barbaroi), il balbuziente, colui che non conoscendo la lingua locale stenta nella dialettica. Uno stentare linguistico, cui poco a poco è stata attribuita una connotazione negativa. I barbari erano le popolazioni del nord Europa, violenti e cruenti che saccheggiavano i domini romani e tentavano la conquista dell’Impero. Il gharb dunque, l’occidente oscuro e strano, identifica non solo geograficamente un luogo – lì dove il sole tramonta – ma tende a significare anche la forma di Stato figlia dell’Occidente, la democrazia. Nella democrazia, la volontà del popolo è libertà di pensiero e di espressione, è libertà di ciascun individuo ed è al contempo una libertà che i governanti arabi hanno tradotto con il termine shirk – e non invece con hurriyya, la libertà gioiosa che si ritrova anche nelle forme di Stato come quella libica, la jumhurriyya, ovvero una sorta di democrazia arabo-islamica –, la libertà disinibita e confusionaria dell’epoca preislamica, l’epoca dell’oscurità. Ecco la mistificazione dei governi arabo-islamici, con la consapevole e artificiale trasformazione, agli occhi del loro popolo, della democrazia nel luogo delle libertà selvagge e pagane, dove non regna il monoteismo e l’ordine. Il luogo oscuro che il profeta Muhammad ha sconfitto e dal quale ha liberato le menti degli arabi. E allora la democrazia si trasforma in un ‘nemico’ dal quale rifuggire, pregno com’è della sua religiosità politeista che rammenta alle menti la violenza delle genti di Mecca. Facciamo un passo indietro. Se vogliamo trovare un momento, una data che ha segnato una sorta di frattura sia con il mondo occidentale sia soprattutto all’interno degli Stati arabo-islamici, quella è il 1991. La prima guerra del Golfo, il periodo durante il quale le popolazioni arabo-islamiche hanno compreso due elementi precisi: nessun confine può proteggere dal gharb, dallo straniero; e il mondo arabo-islamico è vulnerabile. La paura e il terrore hanno rischiato di sopraffare le persone, ma allo stesso tempo è stato chiaro che l’unico mezzo per superare quella paura, l’unica reazione possibile era la comprensione di ciò che atterriva. Non dipende dall’Occidente straniero comprendere il mondo arabo-islamico, dipende dal mondo arabo-islamico comprendere l’Occidente. Ed ecco un altro termine utile al nostro ragionamento: qarar la consultazione. Ma anche jadal la discussione, il confronto. Il popolo arabo-islamico ha scoperto nel 1991 di non aver mai avuto accesso alla consultazione. Gli slogan dei manifestanti durante la prima guerra del Golfo gridavano il loro desiderio di democrazia, urlando “Non ci hanno consultato! La decisione è la nostra”. Ed eccola là, la paura che entra nelle stanze del potere. Diviene necessario a questo punto blindare la propria autorità e compiere un’operazione strategica di marketing: mascherare di estraneità la democrazia, farla divenire figlia di quell’oscurità che è il gharib. Trasferire la paura ancestrale dell’Occidente all’idea stessa di democrazia, questo è stato l’escamotage attraverso il quale i governi musulmani sono riusciti a garantirsi per decenni il proprio appannaggio politico. Un sistema questo, che ha ingannato molti. Anche io ne sono stata affascinata. Ripensare alla modernità con gli occhi del passato. Quale romanticismo se interpretato con la sicurezza della visione democratica e occidentale nel cuore. Il ritorno al passato interpretato come chiave di lettura del presente e del futuro non è uno strumento romantico e giuridicamente logico per superare le sfide della modernità, bensì solo il mezzo “politicamente corretto”  per coprire con un ulteriore chador il volto della democrazia in fieri. Per alcuni governi, per la maggior parte dei regimi musulmani, si ritiene sia più semplice proteggere i propri interessi se si fa ridiscendere la legittimità su terreni culturali simbolici. Se il culto ancestrale del sacro e del passato divengono l’emblema della giustizia e della liceità del potere, l’autorità del monarca, del capo di governo, del primus inter pares acquisisce la legittimità del governare. La negazione dell’intelletto, la persecuzione del raziocinio operate nel corso della dinastia Abbaside non si sono mai interrotte. Il din wa dawla al servizio del potere costituito. La religione diviene giustificazione e strumento per la soddisfazione degli interessi personali del capo. Se si riveste le azioni e la giustificazione del potere di religiosità, chi potrà mai andare contro il volere di Dio? Chi potrà mai mettere in dubbio che quella stessa scelta non sia stata operata per il tramite della benedizione divina? Ecco come fino a oggi la maggior parte dei governanti arabo-islamici hanno dominato incontrollati sui proprio cittadini/sudditi. La democrazia fa paura perché rappresenta la nuova Mu’tazila, i nuovi filosofi, il risveglio della ragione. Dio non ha mai negato l’utilizzo dell’intelletto umano, “la conoscenza è la più democratica delle fonti del potere”. “Discuti con loro nel modo migliore” (Corano XVI, 125).


Tratto da laici.it